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Dalla metà degli anni ‘50 i bacini carboniferi del Belgio sono in crisi: le risorse si stanno esaurendo, il Borinage è ormai considerato zona depressa. Quando nel 1958 l’alta autorità della CECA (comunità europea del carbone e dell’acciaio) stabilisce il piano di riduzione delle miniere, attuato dal governo belga, molti minatori - in gran parte emigranti italiani - abbandonano il lavoro per rientrare in patria o trasferirsi nelle fabbriche. I pochi rimasti vivono isolati, lontani dalle famiglie e non integrati nella società. Abitano nelle cantine della compagnia mineraria, li vediamo mentre vanno al lavoro, i carrelli colmi di carbone scorrono sui binari. Nel tempo libero si riuniscono intorno a un tavolo fuori dalle baracche a bere vino e giocare a morra, ma c’è anche chi rimane da solo al bar, a bere birra e fumare sigarette. Uno va in città, si avvicina alla finestra di una prostituta con un semaforo verde e un cartello su cui è scritto “ouvert”. Esita un attimo, il semaforo si spegne e il cartello dice “fermé”, lasciandolo solo a guardare la finestra mentre arriva la sera.