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In Sicilia, "u carcinaru" e il figlio ogni giorno si recano con un carretto sul greto di un fiume a raccogliere pietre per fare la calce. Il bambino scende dal carretto in marcia e si dirige verso il fiume che scorre a lato della strada, fermandosi a guardare, con occhi malinconici, altri carretti che caricano ghiaia e sabbia. Dopo qualche istante, il bimbo torna sul carro infangato. Al fiume, il padre si curva a scegliere i sassi buoni, uno ad uno. Quando erano in tanti, i "carcinari" intonavano tutti insieme un coro, pregando Dio di dar loro la forza per continuare a lavorare; uno dei versi di questo canto ("Signuri, dammi tu a forza ppi mu faticari") viene ripetuto più di una volta - in stretto dialetto - da una voce fuori campo femminile. Adesso, "u carcinaru" è solo. Le pietre vengono accumulate vicino al carretto. Il bimbo, seduto a terra, le sistema e le impila per gioco una sopra l'altra, tentando di non farle cadere. Ma non vi riesce mai, per quanto si impegni le pietre non riescono a mantenersi in equilibrio. Intanto "u carcinaru" continua a lavorare, sistemando i sassi all'interno del carretto, che, una volta completato il carico, riprende il suo cammino. Per mantenersi, guadagnando 900 lire, l'uomo deve fare tre carichi completi al giorno (deve mantenere, infatti, oltre la famiglia, anche il carretto e la mula che lo tira), ovvero sei viaggi dal fiume alla fornace. "Sei viaggi quando va bene!", aggiunge la voice off, dato che il carico del carretto, complici gli avvallamenti e il cattivo stato della strada, si rovescia disastrosamente. "U carcinaru" chiama subito il bambino per aiutarlo a risistemare, con infinita pazienza, tutti i sassi. Quando il carretto riparte, il bambino rimane a terra, con la frusta in mano, in un paesaggio fangoso.